Ferlinghetti: la poesia ci salverà
di FERNANDA PIVANO
Ha 83 anni Lawrence Ferlinghetti, che nei giorni
scorsi ha incantato la folla di Bergamo e Brescia coi suoi ricordi.
Non li dimostra quegli anni, e soprattutto non
gliene importa granché: a importargli sono gli avvenimenti, gli
amici, le storie che gli hanno riempito la vita.
Aveva appena fondato la libreria City Lights,
chiedendo il permesso a Charlie Chaplin di usare il titolo del suo
film famoso, quando Allen Ginsberg aveva letto il suo Howl al
reading prorompente della Six Gallery di San Francisco, e
Ferlinghetti gli aveva mandato il telegramma ricalcato su quello di
Emerson a Whitman, quando era uscito Foglie di erba a spese
dell'autore: «Ti saluto all'inizio di una lunga carriera».
Ma Ferlinghetti aveva concluso il telegramma
invitando Ginsberg a mandargli il testo della poesia per pubblicarlo
nelle edizioni appena cominciate con lo stesso nome della libreria;
e infatti lo aveva pubblicato.
Aveva subito un processo per oscenità mentre
Ginsberg era in Europa, con autostop e sacco a pelo, a riversare su
ascoltatori non ancora abituati i suoi sogni di libertà e di non
violenza.
Questi sogni Ferlinghetti li ha divulgati
accogliendo nello scantinato della sua libreria i giornali
ciclostilati della contestazione beat, presto accompagnandoli coi
suoni della rivoluzione di Fidel Castro; ma sulla porta della sua
ormai famosa City Lights aveva un grande cesto pieno delle spille di
Bertrand Russell distribuite ad Aldermaston durante la marcia
antiatomica del 1958.
Una di quelle spille l'avevo addosso e
Ferlinghetti si è un po' intenerito rivedendola, con gli amici quasi
tutti morti, il loro ricordo incalzante nella nostra nostalgia, e il
pubblico dolcissimo di Bergamo, sotto i portici della piazza famosa,
intenerito con noi, con la tragedia di New York come uno spettro sui
nostri falliti sogni di pace, con le domande terribili cui non
abbiamo saputo rispondere altro che con altri sogni di pace, con
l'enigmatico, ambiguo impero economico americano che si era
impadronito del pianeta travolgendo i nostri ingenui sogni di pace.
Eppure quei sogni a Bergamo e a Brescia
Ferlinghetti li ha confermati: ha insinuato che il terrorismo ha
permesso al presidente dell'impero economico illimitato d'America di
inghiottire qualsiasi opposizione politica in nome dell'autodifesa;
ha confermato di non aver mai pensato alla sua attività di editore
come a un business, di aver pubblicato i primi «tascabili»,
introdotti da lui sul mercato con lo scopo politico di contestazione
anticonsumistica, di non aver mai smesso di considerare la poesia di
strada come un mezzo per accostare gli animi liberi al dramma
economico contemporaneo.
Ma Bergamo e Brescia hanno avuto anche un
significato più intimo per questa icona del sogno beat. Ferlinghetti
è stato avvicinato da Renato Ferlinghetti, nato a Brescia e
cittadino di Bergamo, discendente come il poeta da una famiglia che
vive a Brescia dal 1763: cinque o sei generazioni di Ferlinghetti
bresciani e ora il poeta dice di cercare le sue origini lì, a
Brescia, a Proveglio, a Chiari, città di cui non ricorda il nome ma
che va a visitare con rispetto pensando al padre che non ha mai
conosciuto.
Anche questa rivelazione ha regalato Ferlinghetti
alle nostre nostalgie, mentre gli amici di Bergamo assistevano alle
Notti di luce 2002 organizzate da Claudio Angeleri per la Camera di
Commercio, mentre il ricordo della serata magica alla Albert Hall di
Londra echeggiava il sogno di pace delle sue settemila persone
gremite in sala l'11 settembre 1965, 36 anni prima che l'11
settembre 2001 ricominciasse la terza guerra mondiale contro il
Terzo mondo, terribile, imprevisto, inafferrabile nemico.
Solo la poesia, dice Ferlinghetti, dicono molti
di noi, può offrirci un bandolo in questa tragedia: può offrirci la
forza, nell'anima e nella mente, di affrontarla, se non di
risolverla; può offrirci ancora una volta il sogno che la pace
illumini le menti ottenebrate dalla corruzione della violenza.
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